Parole

Danilo De Marco - Haiti chérie (2001)

Haiti chérie… Haiti mia cara. Dopo alcune settimane passate nell’isola, questo ritornello e i suoi deliranti ritmi di tamburi mi sono entrati dentro e non vogliono abbandonarmi. Haiti chérie… è pezzo d’Africa nera innestata nei Caraibi che nel 1793 ebbe l’audacia di dichiararsi prima repubblica nera del mondo fondata da schiavi in rivolta. Ben mezzo secolo prima che gli Stati Uniti abolissero la schiavitù. Probabilmente per questo, per la sua audacia e sfrontatezza, per aver osato troppo, la maledizione continua a perseguitarla…per questo la sua storia continua ad essere segnata da una tragedia che non vuole finire. Haiti chérie…uno dei Paesi più poveri e dimenticati del mondo dove una popolazione segnata da secoli di predazioni e sfruttamento convive oggi con un neoliberalismo selvaggio. La dissocupazione arriva quasi al 70% e una folla sempre più numerosa varca clandestinamente quell’unica pericolosa frontiera possibile, con la Repubblica Dominicana, che divide l’isola in due. Qui, ghettizzati in agglomerati-abitazioni fatiscenti ai limiti della sopravvivenza chiamati Bateyes (Battelli) sono mano d’opera a basso costo non garantito, per il taglio della canna da zucchero. Lasciati volontariamente dalle istituzioni domenicane senza documenti anche per decine d’anni, alla mercè delle retate improvvise (anche sui posti di lavoro) della polizia e dei militari che sequestrano tutto, denaro compreso, vengono rimpatriati a forza. Molte famiglie sono così spaccate in due per anni, divise dalla frontiera e dalle polizie.
Port-au-Prince, la capitale, adagiata su una pianura arsa dal sole a Cul de Sac, sembra sbucare dal mare all’improvviso e marcare definitivamente il confine tra natura e uomo. Lontano è quel 15 dicembre 1492 quando Cristoforo Colombo chiamò quest’isola Valle del Paradiso. “Tutti gli alberi erano verdi, carichi di frutta e le piante tutte fiorite. I nostri dicevano che era il più bel luogo del mondo”. Oggi la situazione ecologica è catastrofica: dell’80% di foreste rimane meno del 2%. Gli alberi sono andati letteralmente in fumo. L’isola è completamente calva in un paesaggio tragico, calcificato, che arriccia la pelle. Port-au-Prince è attraversata da strade riempite di buche sovente trasformate in letamai. E’ un formicaio dove almeno due milioni di persone ingombrano le vie dalle primissime ore dell’alba fino a tarda notte. Le poche ore notturne di falsa tranquillità sono in mano a bande armate pronte ad uccidere per pochi denari. Durante la giornata è meglio evitare un grande sobborgo della capitale, Carrefour, completamente controllato dalla delinquenza.
Port-au Prince è un grande negozio all’aria aperta dove si vende di tutto: dalla frutta che matura e marcisce rapidamente sotto il sole alle medicine senza tempo, dal carbone ricavato dagli ultimi alberi o arbusti venduto da donne “in nero” a tutta una fantasmagoria di scadentissimi prodotti di plastica. I tap-tap, veicoli collettivi coloratissimi che sfrecciano colmi di passeggeri fin sul tetto -non è raro perderne qualcuno per strada…- che evocano le figure di un calendoscopio impazzito, intasano la città in un frastuono assordante.
Un mistero rimane: dove andrà tutta questa gente a dormire nelle poche ore del riposo? Mi spiegano che attorno alla città, nelle bidonvilles, sempre più numerose in mancanza di una vera riforma agraria, vi sono posti letto, una branda per i più fortunati, condivisa tra più persone secondo gli orari della giornata. Bidonvilles che sono aggrappate ad una montagna ripidissima, ridotta a pietraia, attendendo solo il primo ciclone per diventare un fiume di fango risucchiato dal mare sottostante.
Tutto un popolo alla ricerca di guadagnare qualche gourdes, la moneta nazionale, per sopravvivere. Paradossalmente i prezzi sono sempre dati in dollari: dollari fantasma, lontano ricordo dei tempi di Duvalier (5 gourdes corrispondono a 1 dollaro). Chi ha di più gira armato e fa giustizia sommaria dei poveracci che cercano di rubare qualche spicciolo per tirare avanti. Mai mi era successo di avvertire così drasticamente l’orrore della distruzione ambientale e della tragedia umana. Haiti è in pieno naufragio: tutto quello che appartiene allo Stato è abbandonato; un haitiano su cinque possiede un documento e la sanità pubblica non esiste. Tra le montagne a Foret les Pins, ho incontrato una giovane donna che in groppa ad un mulo, con il suo bimbo stretto al petto, stava ritornando da una visita medica. Mi racconta:”…da giorni una grave infezione all’orecchio tormentava il mio bambino e raccolto tutto il denaro che avevo, sono andata dal medico. Mi ha prescritto delle medicine, ma pagata la tariffa-visita troppo alta per noi, non mi è rimasto per comperarne “. Ad Haiti si muore se non si può pagare. Una persona su tre è malata di AIDS senza saperlo. Le scuole pubbliche, l’analfabetismo è al 50% mentre metà della popolazione ha meno di 16 anni, sono contenitori di giovani ammassati: le private così prolificano (bicocche di legno e latta che si trasformano a secondo dei casi in una delle innumerevoli “chiese” che infestano l’isola e i cui insegnanti, i più pronti a sfruttare la loro situazione, hanno alle spalle solo qualche corso seguito nelle medesime). Le sette religiose diventano un detonatore per un’ulteriore disintegrazione sociale e sono puro commercio. Ne ho contate 35 in una comunità di 900 famiglie. In viaggio attraverso la gola che porta a Vetrier……, in un paesaggio già devastato nel 1998 dall’Uragano George, ho incontrato possenti fuoristrasda carichi di uominibianchistatunitensi che distribuivano pieghevoli, dove sulla prima pagina, in creolo, vi era scritto “Mourir vin fasil” MORIRE DIVENTA FACILE. All’interno un’apologia all’abbandono della vita terrena, all’accettazione della condizione di miseria e sfruttamento, una predestinazione a cui non rimane altro che rassegnarsi. “A partire dalla rivoluzione cubana del 1959(Cuba dista solo 80km via mare) mi spiega Chavannes, gli americani del nord, hanno deciso di sviluppare in America Latina quella che si chiamava l’Alleanza per il Progresso. Cominciarono ad arrivare dei missionari per evangelizzare la gente, far credere che tutto dipendeva da Dio e che il corpo non ha importanza…più si soffre, più si è miserevoli più si prepara l’anima ad andare in cielo. A quel tempo ad Haiti esistevano già 500 sette…e servivano ad aumentare ulteriormente le divisioni tra le comunità. Poi all’inizio degli anni ‘70 con il diffondersi della Teologia della Liberazione è iniziata una nuova campagna e una versione deformata del cristianesimo che predicava il disinteresse alla politica e la rassegnazione si diffendeva tra la gente. Naturalmente tutto questo è strettamente legato con lo sfruttamento dei contadini”.
Ad Haiti sembra ormai lontano quel 1989 che aveva entusiasmato e dato speranza a tutto un popolo. Dopo la dittatura della famiglia Duvalier -Papà e Baby Doc, che durava dal 1957- Haiti aveva intravisto nel Père Aristide e nel suo movimento Famni Lavalas, “Famiglia Valanga” l’uscita da un incubo. Uomo nero un giorno ritornerai libero.
Il 16 dicembre 1990 Père Aristide vince le elezioni con una valanga di voti. Ma gli Stati Uniti non vedono di buon occhio questo seguace della Teologia della Liberazione e nel 1991 il sogno viene infranto dal generale Cédras con un colpo di Stato. E’ il disastro finale. Aristide è costretto a fuggire all’estero.
Uno Stato-mafia si instaura per tre anni e un embargo implacabile rovina definitivamente il Paese. Ma ironia della sorte, è ancora solo la premonizione di una morte annunciata. Nel 1994 sbarcano i militari americani che già nel 1915 avevano occupato l’isola. Questa volta però sotto la bandiera delle Nazioni Unite, e Aristide viene fatto rimpatriare. Il Paese è al collasso e la rete mafiosa controlla tutto. L’OPL, l’Organizzazione del Popolo in Lotta, un tempo partigiana di Aristide denuncia la corruzione e il coinvolgimento di Lavalas fino ai massimi poteri del Governo con i narcotrafficanti. Quello che restava del Movimento Lavalas era diventato un nido di corrotti e assassini.
Nel 1995 viene eletto presidente René Preval, uomo di fiducia di Aristide.
Al posto delle famigerate “tontons-macoutes” al servizio dei Duvalier, si formano bande di giovani chiamate “Chimères Lavalas” che terrorizzano la gente. Vengono assassinati Yvon Toussain, senatore del MPP-Movimento Payizan Papaye-, nel ‘97, e Jean Dominique nel 2000, il più amato e famoso giornalista haitiano. Sul luogo dell’assassinio di Yvon Toussain fu ritovata la carta di identità di Roland Camille, detto Roland Cadavre, sicario e super-protetto di Aristide, che gira tutt’ora impunemente per le strade dell ‘isola. Dominique è stato ucciso mentre si recava alla radio in cui lavorava, deciso a denunciare il Movimento Lavalas, da cui non aveva ancora prese completamente le distanze, per il suo coinvolgimento nel cartello del tabacco.
Intanto la sede dell’opposizione, la Convergenza Democratica, viene a più riprese assaltata e data alle fiamme. Il suo leader, Gérard Gourgne, viene dichiarato dall’opposizione Presidente in contrapposizione all’elezione di Aristide dopo le elezioni farsa (è andato a votare il 5% degli aventi diritto al voto) del novembre 2000.
Nel marzo del 2001, il Senato chiede l’arresto di Gourgne. La tensione sale e per alcuni giorni le chimeres Lavalas la fanno da padroni. La raccomandazione per noi bianchi è di non uscire per le strade. Nel caos completo potrebbe essere fatale.
Verso fine marzo sono a Papaye, nell’alto pianocentrale, sede del Movimento Payzan. Per il giorno 21 l’MPP ha organizzato una grande manifestazione che doveva raggiungere la vicina città di Hinche. Vi si attendono più di diecimila contadini. Ma le bande chimeres lavalas con a capo il sindaco di Hinche, Dongo Joseph e altri uomini di Aristide come Willo Joseph, bloccano i camion che arrivavano da tutta l’isola, bastonando e rompendo le braccia a molti contadini. Il giorno dopo Hinche è invasa dalle bande che sparano e minacciano la gente. Picchiano i giudici di pace e uomini armati di macete e armi pesanti attendono la marcia che avrebbe dovuto arrivare da Papaye. L’MPP rinuncia a scendere in città per evitare un bagno di sangue. “Già lo scorso 2 novembre, mi dice Chavannes, questi delinquenti hanno attaccato una riunione pacifica del MPP. Sono arrivati con armi pesanti, hanno sparato all’impazzata e hanno ferito molte persone tra cui, gravemente, mio fratello. Hanno cercato di assassinarmi. Ora sono diventato una loro personale preda…”
Oggi l’ex-père Aristide, ex-teologo della liberazione, ex-povero, ex-incarnazione di un Cristo nero è diventato uno degli uomini più potenti e ricchi dell’isola. “E nell’isola, conclude Chavannes, la povertà e la situazione ecologica non hanno precedenti…Haiti fra cinquant’anni potrebbe non esistere più. Aristide è un mostro, ed io ho contribuito alla sua creazione”.