Ritratti

Somaglino Massimo

Massimo Somaglino con Miklos Hubay
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Massimo Somaglino con Miklos HubayMassimo con il burattino del MenocchioMassimo con Carlo Ginzburg e Domenico Scandella detto Menocchio

Lavorare con Miklós dava la sensazione assurda di trovarsi davanti ad una sfasatura spazio-temporale: un
tragediografo greco, direttamente da Epidauro, che ti stava guardando negli occhi. Nel suo testo “The rest is silence”, che ho avuto la fortuna di vedere nella fatica del suo farsi, non c’era nessuna concessione allo sperimentalismo fine a sé stesso, all’effetto per l’effetto, ogni battuta era perfettamente, e ‘classicamente’ concatenata alla precedente, dire le parole di Hubay era come dire quelle di Euripide, il viaggio dentro
la tragedia non consentiva sviamenti, salti, scorciatoie. Procedere sul sentiero era una conquista progressiva, passo dopo passo, nella certezza che fosse sufficiente avere fiducia per essere completamente ripagati. E quando arrivavano gli spiazzamenti (gli ingressi dei personaggi, le rivelazioni e gli snodi drammatici) sapevi che era necessario, e che il personaggio (e con lui l’attore) era pronto ad accoglierli e a reagire, che non era un’”invenzione” ma una necessità. E che non c’era nemmeno bisogno di un’invenzione registica o
attorale. Aveva ragione il testo. Aveva ragione lui.