Parole

Danilo De Marco - Miklos Hubay: il resto è silenzio (2000)

E’ a Cividale del Friuli, nel 1991, in luglio che incontrai per la prima volta Miklos Hubay. Si aggirava per le stradelle dell’antica e romana Forum Julii, con il suo lento ed elegante passo, attento a non farsi sfuggire nulla. Certo le tracce antiche di questa cittadella, ma anche incuriosito e attento alle persone che incontrava casualmente, perduti anche loro tra i ciottoli del tempo. Invitato a Budapest poche settimane dopo, avrei dovuto scoprire l’uomo e grazie all’uomo la potente poesia ungherese.
Non potrò mai scordare le notti insonni regalatemi da Miklos che con ardore e desiderio da giovinotto mi iniziava alla ribelle, amante ed inquieta poesia delle sua terra. Scoprivo così nomi come Sandor Petofi, Endre Ady, Gyula Krudi, Istvan Vas sotto lo sguardo vigile di una statua di Sofocle, guida e mentore di Miklos.
Il suono della sua voce fiammeggiava all’interno degli altissimi muri della sua nobile casa, e inondava la grande stanza-biblioteca, toccando il mio timpano solo dopo l’attesa necessaria che preparava all’ascolto. L’ascolto di una lingua per noi così lontana e misteriosa -l’ungherese- dove la scrittura si depone elementare in lettere-parole allineate. Ma dove all’improvviso suoni-parole diventano linguaggio e fanno presa tra di loro coagulandosi e inghiottendosi a vicenda. Come ama dire Hubay: “Tutto quello che già esisteva prima della storia della musica. Meglio: un’altra musica. Rurale, arcaica”.
Miklos Hubay nasce nel 1918 a Nagyvarad, mentre stava terminando la prima grande guerra: “Se un piccolo ragazzo incomincia la sua vita e crescendo scopre di appartenere ad una minoranza, non può più scordare quella condizione di appartenenza. Sono nato in una città ungherese, in Transilvania, mentre stava passando alla Romania e l’epidemia spagnola mi toglieva il padre. Ero minoranza e orfano. Come non essere segnati da tutto questo? La pulizia etnica, come oggi viene chiamata con feroce cinismo, era già iniziata. Coloro che sono esposti a quel pericolo non possono più smettere di pensare a quella terribile possibilità”.

Il giovane Hubay entra in un collegio ungherese, studia con passione e apprende la lingua francese.
“Ricordo che al liceo quando studiavo i testi dei grandi francesi, venne pubblicato il primo volume di Paul Valery (Lo spirito dell’Europa). Pur appartenendo ai trionfatori della guerra, lanciò un monito a tutte le culture “Oh nous civilisations, nous savons maintenant que nous sommes mortels”.
Un monito che sembra anticipare l’odierna globalizzazione, lo spirito del pensiero unico, il tentativo di un modello di imporsi su tutti gli altri. “Certamente la globalizzazione, ma nell’apocalisse e l’apocalisse questa volta arriverà senza grande fracasso. Silenziosamente e lentamente. L’uomo è abbastanza geniale per distruggere l’umanità intera”.
Nel 1942 ha 24 anni e a Budapest al Teatro Nazionale si presenta il suo primo dramma: Senza eroi.
Poco dopo con l’incalzare della guerra, Miklos ripara in Svizzera.
Al suo rientro in Ungheria diventa professore all’Accademia Drammatica e consigliere letterario del Teatro Nazionale. Sembra l’inizio di una grande carriera artistica. E’ già tra gli intellettuali più interessanti d’Ungheria. Ma nel 1956 in sole 24 ore il suo destino cambia. “Con l’arrivo dei carri armati, la mattina mi cacciarono dal Teatro Nazionale e a mezzogiorno dall’Accademia. Tolsero definitivamente il dramma che era in cartellone. Mi ritrovai all’improvviso senza più nulla. Iniziai a guadagnare da vivere facendo il traduttore e a scrivere… a scrivere solo per il cassetto”.
Mentre in Ungheria la sua voce viene ammutolita, in Italia già negli anni ‘60 si presentano le sue opere, grazie alla traduzione di Umberto Albini. Più tardi memorabile sarà La scuola dei geni con la partecipazione di Luigi Vannucchi. E l’Italia diventa per lui un luogo privilegiato. “Bisognerebbe inventarla se non esistesse”.

Nel 1972 gli viene offerta la Cattedra di letteratura ungherese a Firenze. Hubay ha 55 anni e non conosce l’italiano. Lo imparerà grazie ai suoi stessi allievi. In quegli anni frequenta Parigi e incontra Jean Luc Moreau, filologo, professore alla Sorbona e studioso delle culture delle piccole etnie. Nonostante la differenza di età, Moreau era molto più giovane, diventeranno amici fraterni. “Ho appreso da Moreau che anche nelle piccolissime tribù esistono tradizioni millenarie; linguaggi con delle uniche e irripetibili strutture. Tutte sono creazioni irripetibili e la loro estinzione è una perdita irreparabile per l’umanità tutta. Scompare una miniera di sapienza sulla natura, sulla musica, sui canti, sulla medicina, sulle visioni cosmologiche e sul comportamento umano, sia nel lutto che nell’amore”.
Moreau poi aveva fatto un’esperienza incredibile. Aveva studiato sui testi ritrovati nelle biblioteche una lingua, la sua lingua materna, di un popolo che si pensava ormai estinto da più di cinquant’anni. Si era così messo in viaggio per l’allora Leningrado e in qualche modo, intrufolandosi come studioso della lingua russa in un collegio, aveva scoperto che forse vi erano dei sopravvissuti. Parte quindi per la Cina dove questo popolo era migrato in diaspora e incontro una donna; unica sopravvissuta che parlava la sua lingua materna. La stessa che Moreau aveva appreso solo dai libri. Parlarono tutta la notte: quasi l’ultima notte di una cultura. La donna gli trasferì tutte le informazioni possibili. Da quel momento quella storia non lasciò più in pace Miklos. “Pensavo che una storia così si prestava benissimo per un dramma: il dramma sulla scomparsa di una cultura. Sull’ultimo respiro di una lingua. Sul momento in cui da lingua viva si trasforma in lingua morta. Per un autore drammatico conta molto il nucleo di una piccola storia, che però contiene i conflitti necessari per il dramma. Ho iniziato a interessarmi all’antropologia. E finalmente nella mia testa nacque il dramma. Nacque in una forma concisa. Una vera sfida per un drammaturgo. Tre personaggi solamente”.
Hubay parte per Rio de Janeiro dove era stato invitato per una conferenza, ma anche per continuare i suoi studi di antropologia. Va in Amazzonia per un periodo. Aveva portato con se il manoscritto del suo dramma già a buon punto. Ma lo dimentica sul tavolo del suo hotel poco prima di rientrare. Non lo ritroverà mai più. “Naturalmente essendo il drammaturgo abbastanza superstizioso, ho subito pensato all’intervento del destino…sapendo che in tutte le tragedie l’incontro con il destino è l’elemento fondamentale. Eccolo, mi si presentava…mi inoltravo così come Teseo nel labirinto sapendo che il minotauro mi attendeva…ma nello stesso tempo mi dicevo che era meglio così, che non dovevo mettermi in gioco con situazioni troppo personali, distruggenti. E dimenticai”.

Nell’ottobre del ‘98 incontro a Parigi Miklos. Passeggiando nei giardini del Lussemburgo mi racconta la storia del suo dramma scomparso. Ne rimango affascinato e penso ad una nuova stesura, ma in una piccola lingua: il friulano. Ne parlo con Federico Rossi, che durante l’estate organizza un mese di incontri culturali ai Colonos, a Villacaccia, a pochi chilometri da Udine. Poche settimane dopo io e Federico partiamo per Budapest.
“Si, arrivarono due friulani a domandarmi il manoscritto sulla morte della lingue. Si può riscrivere? mi chiedono. Era difficile, avevo altri impegni. Ma immediatamente dentro di me si innesca la rissa. Il destino ancora mi provocava su quel dramma, e mi mandava due friulani alla ricerca del dramma scomparso. E poi, improvvisamente, mi parlano di Colonos, il nome del luogo dove avrebbe dovuto essere eventualmente rappresentato. Ma no, dico, Colono in Attica, la città di Sofocle. Edipo a Colono l’ultima opera della mia guida spirituale che scrisse a quasi 90 anni…Un altro incontro con il destino. Capii che era inevitabile la mia partenza per il Friuli”.
La vocazione fa arrivare Hubay a San Vito al Tagliamento ospite della biblioteca comunale per iniziare a riscrivere il suo dramma. Ma le sorprese non finiscono.
“Ho avuto la chiamata dal Friuli, una chiamata insolita, intensa. Ma subito si aggiunse un altra condizione inaspettata, stupefacente: l’atmosfera. C’era qualcosa di incantevole che mi fece ritornare al tempo della mia infanzia: il profumo dei tigli. I tigli del Friuli erano in fiore e nelle serate che passavo passeggiando, evocavano esattamente il profumo della mia città - Nagyvarad - dove abitavo proprio in un grande viale di tigli. Motivazioni e legami continuavano a prendere forma e a stimolarmi. Per di più tutti i giorni un rombo continuo veniva dal cielo. Da Aviano, a pochi chilometri, partivano verso sera e ritornavano all’alba. Erano gli aerei che andavano a bombardare la Serbia e il Kosovo. Tutto questo ha creato per me un ambiente eccezionale. Scrivevo e scrivevo gettando i fogli da ogni lato mentre riaffiorava in me la memoria delle antiche pulizie etniche. E proprio in quei giorni anche il vergognoso caso di Ocalan e del popolo kurdo… Il mondo mi inviava messaggi. Si presentavano di nuovo le minacce contro le culture. E’ così ho trovato la nuova forma del dramma… o forse essa ha trovato me. E poi quel curioso fatto che per la prima volta creavo un dramma in una lingua che non conoscevo bene. Parlo l’italiano ma non mi permetto di scrivere nemmeno una lettera in italiano, per non parlare del friulano, la lingua per cui poi sarebbe stato tradotto il dramma. Scrivevo metà in ungherese e metà in italiano per poi trasformare tutto in italiano. Da questo scivolare in diretta da una lingua all’altra e all’altra ancora, ero costretto a pensare all’azione scenica… ogni parola acquistava un suo peso, conteneva una sua energia…mi trovavo come alle origini della parola stessa e contemporaneamente nell’azione. Mi sentivo come un sordomuto che vuole esprimersi e per riuscirci ha bisogno delle energie intestinali. E infine arriva solo a balbuziare qualcosa. C’una forza più grande in tutto questo rispetto a chi ha la possibilità della parola diretta”.

Il dramma della scomparsa di una piccola lingua presentato in un’altra piccola lingua poco diffusa. Per Hubay questo si è trasformato in una “soddisfazione divina”. Naturalmente sapendo che secondo le previsioni di Paul Valery lo stesso dramma può essere interessante ed attuale anche per le grandi lingue, per un pubblico statunitense, cinese, russo, francese, perché…” le atrocità commesse contro le piccole etnie possono trasformarsi in una grande catastrofe per tutti”.