Due racconti di Carlos Montemayor
Nel 1994, Dolores Batista, una giovane rarámuri originaria di Ojachich, nel municipio di Boycona, sulla Sierra Tarahumara, mi ha raccontato quanto segue: Una volta una bambina portò a pascolare le capre dall’altra parte della montagna, laggiù dove c’è la piccola cascata. E la bambina si smarrì perché si era messo a piovere forte. E quando smise di piovere, la nebbia ricoprì ogni cosa. Fu per questo che si smarrì. Si fece tardi e andò a dormire in una grotta, addentrandosi nella montagna. Vi rimase tre giorni. Le capre tornarono a casa. Quelli della sua famiglia non si resero conto di nulla, pensarono che fosse rimasta in un’altra casa e così non andarono a cercarla. Dopo tre giorni la bambina tornò, e arrivando disse loro: “Sono stata sulla cima del monte, a guardare, e si vedeva San Juanito e Creel. Sentite, andiamo lassù, così potrete vedere anche voi…” disse la bambina. I genitori andarono a vedere il monte da lei indicato… “È troppo piccolo, quel monte. Dove sei stata?” “Proprio lì, dove c’è quel buco nero.” A quel punto i genitori capirono e le credettero. Da allora la bambina prese a sognare, e aveva ormai i poteri per compiere rusiwaris, cose di stregoneria.
Voglio parlarvi di un amico rarámuri molto rinomato a Norogachi. Si chiama Erasmo Palma. È nato in un piccolo posto sulla Sierra Tarahumara chiamato Tuchéachi. L’ho conosciuto diversi anni fa. Da lui ho appreso molto riguardo i rarámuri, ma in questo caso ti racconterò solo quello che mi ha spiegato circa la parola chabochi. Così i tarahumara definiscono le persone bianche, gli uomini occidentali. Chabochi vuoi dire barbuto, uomo con la barba o i baffi. Ma tra i rarámuri i peli, i baffi e la barba sulla faccia, sono considerati come insetti; quindi, dicono con buonumore che il chabochi è colui che ha ragni e ragnatele sulla faccia. Per questo, quando alludo a tale significato in qualsiasi zona dei tarahumara, scoppiano tutti a ridere di colpo, come se li avessi colti in fallo. Ma non molto tempo fa don Erasmo Palma mi ha spiegato la parte mancante della questione. Me l’ha raccontata così: Mia nonna pensava che l’essere vivente nel mondo va guastandosi sempre più. Per esempio, mi diceva: “Tu sai che le tortillas (e ogni altro genere di cibarie) se restano troppo tempo da una parte diventano rancide. A quel punto diciamo che sono cattive. E che succede alle tortillas? Si ricoprono di macchie e di peluria. Tu sai che ci sono delle persone chiamate chabochi che hanno dei peli sulla faccia. E persino nella nostra razza, ce ne sono. Perché la vita dell’essere vivente nel mondo è presente ormai da molti anni e diventiamo sempre più cattivi. Il segno del fatto che siamo cattivi sta nella barba degli uomini, proprio come ce l’hanno le tortillas andate a male. Così come si macchiano le tortillas, si dice che anche la nostra anima si macchia. Quando siamo cattivi, con il passare del tempo la nostra anima si ricopre di sporcizia. Come il cuore di un leccio che poco a poco viene mangiato dal verme e l’albero marcisce o si svuota all’interno. Come il cuore del leccio che diventa tutto nero. Adesso ti parlerò del cuore di un uomo buono. II cuore dell’uomo buono assomiglia al cuore di un pino, perché il cuore di un pino non marcisce quasi mai; così è il cuore di un uomo buono.”