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Guido Piccoli - La cacciata di Tirofijo

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“La cacciata di Tirofijo da Marquetalia: un altro successo eccezionale delle nostre Forze Armate”, così titolava il 23 dicembre 1964 il giornale ‘Il Cronista’. Per il potere e la sua stampa era la definitiva sconfitta di pochi e isolati banditi che, ‘ebbri di dottrine estranee’, avevano formato una delle ‘Repubbliche Indipendenti’ sorte in Colombia alla fine del periodo della Violencia, che aveva provocato nel paese quasi 300.000 morti tra conservatori e liberali. Tirofijo era un piccolo proprietario terriero, battezzato Pedro Antonio Marin, che con pochi altri amici, per lo più contadini e allevatori di bestiame, quasi tutti liberali, aveva preso le armi per difendere le loro terre dai latifondisti della regione e dall’esercito al loro servizio. Pedro era un combattente deciso, che meritò oltre al soprannome che ricordava la sua mira precisa anche una nuova identità, quella di Manuel Marulanda Vélez, un sindacalista torturato fino alla morte dai poliziotti. Nella battaglia di Marquetalia - maggio del 1964 - Tirofijo e altri 46 compagni, armati di schioppi e vecchie pistole, combatterono contro un migliaio di soldati, sorprendendoli con micidiali imboscate e fatali esplosioni di mine caserecce. Dopo vari giorni, ormai privi di armi e alimenti, si ritirarono dalla zona circondata dai militari, e si sparsero nel paese per reclutare altri contadini e intellettuali, fino a formare nell’anno successivo le FARC, Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia.
Dopo 36 anni, nei quali i ribelli sono stati dati tante volte per spacciati, quei guerriglieri sono diventati un esercito di circa 25.000 ribelli. È un vero mistero per i politici, i diplomatici e i giornalisti occidentali. Per decenni la guerriglia colombiana è stata accusata di sopravvivere grazie a soldi e armi che arrivavano di volta in volta da Mosca, Pechino e l’Avana. Poi, dalla metà degli anni Ottanta, è stata accusata di svilupparsi grazie ai proventi della droga. ‘Le Farc sono il più grande cartello della cocaina’ hanno spesso ripetuto i vertici militari colombiani e statunitensi, trovando eco nella stampa internazionale, abituata a riproporre la comoda teoria della ‘narcoguerriglia’.
Pochi hanno spiegato la sua nascita e la sua crescita eccezionale con la spaventosa ingiustizia sociale, in particolare nelle campagne, dove la proprietà della terra è sempre più scandalosamente concentrata nelle mani di qualche centinaio di famiglie di rango e soprattutto dei boss del narcotraffico. E nessuno ha trovato le ragioni della crescita guerrigliera nella tragedia della democrazia colombiana.
Formalmente perfetta: un solo colpo di Stato nell’ultimo secolo, quasi un record in America Latina. In realtà criminale come poche altre al mondo. Il potere politico è condiviso da un secolo e mezzo da conservatori e liberali, due partiti diventati ormai una fotocopia dell’altro, che non tollerano alcun altro antagonista. Con le buone, comprando il dissenso dei movimenti di opposizione fino a trasformarli in un’inutile macchietta, o con le cattive, con leggi speciali e soprattutto col più raffinato e spietato terrorismo di Stato, realizzato dagli squadroni della morte, dai sicari su commissione e dai membri dei tantissimi organismi di sicurezza dell’esercito e delle varie polizie. In una parola abusata, dalle cosidette ‘forze oscure’.
Una volta chiesero a Tirofijlo - non casualmente uno dei politici più longevi del paese - dove sarebbe stato se avesse abbandonato le armi. L’intervistatore si aspettava forse che il settantenne e arzillo guerrigliero rispondesse ‘al Governo o al Parlamento’. Invece Tirofijlo rispose pacatamente :’al cimitero’.
Una verità talmente scontata che perfino il presidente Andrés Pastrana ha candidamente dichiarato ad un giornale argentino che ‘lo Stato colombiano non ha l’autorità morale per chiedere ai guerriglieri di lasciare le armi, visto che ogni volta che l’hanno fatto sono stati regolarmente uccisi’.
L’Union Patriotica, nata dagli accordi di pace del 1984, è stata sterminata in sette anni, al ritmo di un morto ammazzato ogni 20 ore. Insieme ai dirigenti e ai militanti di quel partito di sinistra, sono stati massacrati o fatti sparire uno dopo l’altro, scientificamente, senza pietà, tutti i membri dei direttivi dei sindacati più combattivi, per non parlare di moltissimi attivisti dei diritti umanin dei leader contadini o di quelli indigeni. Oltre all’eliminazione selettiva, realizzata con tale perizia chirurgica da far invidiare i rozzi assassini di altri paesi latinoamericani, come il Guatemala, il Cile o l’Argentina, lo Stato criminalizza qualunque lotta sindacale o popolare, usando insieme bastonate e fucilate e vere e proprie truffe: ogni mobilitazione termina con accordi sistematicamente non rispettati, con l’eliminazione dei leader dei movimenti e con l’accusa sistematica di sopposte infiltrazioni della guerriglia.
Uno Stato del genere, corrotto e assassino, finisce per essere il migliore reclutatore di una guerriglia che comunque non genera molte simpatie in Occidente. A differenza di quella zapatista, quelli delle Farc e dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale) non solo fanno più imboscate che poesie, ma sono anche convinti sostenitori del più ortodosso rapporto leninista avanguardia-massa, dimostrandosi alcune volte restii a rispettare le esigenze della società civile colombiana, come ad esempio i popoli indigeni, con i quali talvolta le contraddizioni politiche e culturali sono state risolte a fucilate.
Quarant’anni sulle montagne o nella selva hanno forgiato dei combattenti quasi insuperabili, ma anche dei politici grezzi. Forse inivitabilmente.
Come per il governo di Bogotà è impossibile dominare l’immenso paese tagliato da tre cordigliere e da fiumi immensi, anche per il Secretariado delle guerriglie, a cominciare da Tirofijlo, è difficile controllare o rimettere continuamente ‘la politica al primo posto’ tra i 120 frentes  sparsi in tutto il territorio nazionale. Mantenere un esercito del genere, poi, costa molto. Da i sequestri a scopo estorsivo di ricchi e meno ricchi, le tangenti su ogni ricchezza, a cominciare dalla droga, per finire al petrolio, agli assalti alle Casse rurali. La guerra è guerra.
È stupido sostenere, come fanno interessatissime e finte ‘anime pie’ occidentali, che ‘la guerriglia colombiana ha perduto i suoi ideali’, ripetendo la litania dei generali colombiani. Si è semplicemente adeguata ad una guerra più sporca e crudele di altre, che trova origine, è bene non dimenticarlo mai, nell’egoismo e nella miopia dei ricchi, nella corruzione dei politici e nell’arrogante ingerenza degli Stati Uniti d’America.
Finché in Colombia continuerà ad esserci un’ingiustizia scandalosa, una farsa di giustizia e una democrazia ridotta ad una maschera sanguinante, la guerriglia si rafforzerà. Purtroppo, per alcuni. Fortunatamente per altri. Ma soprattutto inevitabilmente per tutte le persone di buon senso.

Guido Piccoli da “Colombia cent’anni di solitudini”                                                                                                                    fotografie di Danilo De Marco                                                                                                                                                                  ed. del Menocchio 2000